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Neuroscienze e Recruiting: il match vincente per gestire le HR

Al contrario di quanto in genere si pensa, prendere una decisione è una delle decisioni più facili di questo mondo

JosÈ saramago

Scriveva questo lo scrittore Josè Saramago. Ma siamo sicuri che sia davvero così?

Le ricerche neuroscientifiche evidenziano una realtà più complessa: il processo decisionale e di scelta non sarebbe il mero frutto del ragionamento, anzi coinvolgerebbe anche le emozioni.

Nel recruiting, concetti come la motivazione e la disponibilità al cambiamento (da parte del candidato) e la capacità di decidere e scegliere (da parte del recruiter) meritano un’attenzione considerevole.

Cerchiamo di scoprire, quindi, che nesso ci sia tra le neuroscienze e il recruiting, ponendo il focus sulla figura del recruiter e la sua evoluzione nell’era dell’intelligenza artificiale.

Ai candidati piace cambiare?

Il primo momento in cui le neuroscienze incontrano il recruiting avviene durante il colloquio con il candidato. Il recruiter si trova subito di fronte ad una difficoltà: capire quanto è disposto al cambiamento quello che di primo acchito potrebbe sembrare il candidate persona.

Tale confusione nasce dal presupposto che la mente umana è orientata principalmente in due direzioni: preservare la sopravvivenza ed evitare il pericolo/dolore. Per questo, cambiare ed aprirsi alle novità, come nel caso di un colloquio di lavoro, non è così immediato. Il recruiter deve essere in grado di oltrepassare il muro della refrattarietà al cambiamento al fine di perseguire la Talent Acquisition.

Rieducare la mente umana è un’impresa ardua, ma è il traguardo del candidate journey per coloro che desiderano essere assunti.

Recruiter a tutto tondo: competenze e soft skills del selezionatore

Quella del recruiter è una figura professionale che continua ad evolversi nel tempo, alla pari del mondo del lavoro. Il recruiter moderno deve essere in grado di fronteggiare un mercato competitivo e all’insegna dell’innovazione, per questo deve soddisfare diverse caratteristiche che prescindono dalle sole competenze tecniche e dalla formazione.

Competenze analitiche e interpersonali

Da un lato il recruiter è un professionista dell’analisi, un osservatore meticoloso e improntato al problem solving, dall’altro è un comunicatore. Il selezionatore deve essere in grado di instaurare relazioni durature con i candidati (attivi e passivi). È interessato ad attrarre talenti utilizzando tutti gli strumenti di comunicazione necessari (parliamo ad esempio di Social recruiting al fine di dare valore all’azienda.

Intelligenza emotiva

Oltre a comunicare, il recruiter deve saper ascoltare, essere empatico ed esperto di emozioni. Nell’era dell’intelligenza artificiale questo aspetto resta, per il momento, una prerogativa del selezionatore in carne ed ossa. Durante un colloquio, deve saper riconoscere le manifestazioni universali delle emozioni e, al tempo stesso, capire la differenza tra un sorriso di gioia e un sorriso “mascherato”.

Esperto di comunicazione non verbale e linguaggio del corpo

Tra i fattori determinanti che ricadono sotto l’occhio attento del selezionatore, ci sono proprio “le parole non dette”. La comunicazione non verbale e il linguaggio del corpo nascondono una serie di indizi sul candidato intervistato che non devono sfuggire ad un recruiter attento. La postura assunta in sede di colloquio, l’intensità con cui si stringe la mano al selezionatore, la tendenza ad agitare in maniera nervosa mani e braccia, i movimenti oculari e la capacità di mantenere il contatto visivo: sono tutti elementi dietro i quali si celano insicurezze, autostima, nervosismo, ecc.

Saper prendere le distanze dai bias cognitivi

Gli essere umani sviluppano in modo inconscio dei giudizi lontani da motivazioni di tipo razionale ( bias cognitivi ). Nella gestione delle risorse umane, il selezionatore deve saper prescindere da essi al fine di non compromettere il processo di valutazione e, successivamente, di decisione e scelta del candidato.

Bias cognitivi e intelligenza artificiale

bias cognitivi riguardano principalmente l’età, il genere, la razza e la diversità. In modo inconsapevole, hanno la capacità di inficiare le decisioni umane e condizionare, quindi, il processo di recruiting.

Al fine di preservare la talent acquisition, possono essere prese in considerazioni due soluzioni: il Blind Recruitment e l’Artificial Intelligence.

La prima è una tipologia di selezione “al buio”: permette di prendere parte al processo di recruiting senza che vengano resi noti particolari dati dell’aspirante employee, ostacolando l’insorgere di bias.

Un’altra valida alternativa è stata elaborata applicando l’[Artificial Intelligence agli ATS](../../intelligenza-artificiale-e-risorse-umane- collaborare-e-possibile/index.md) (Applicant Tracking System). Automatizzando lo [screening dei CV](https://www.in- recruiting.com/it/screening-cv/) e il processo di pre-selezione, si mira ad un duplice effetto: evitare che i bias congnitivi pregiudichino valide candidature e lasciare più tempo al recruiter da destinare alla pratica dell’empatia, attenzione, interazione.

La ricerca neuroscientifica e l’innovazione nel campo della gestione delle risorse umane, nello specifico dell’HR Tech, evolvono velocemente. Questa è una conferma del fatto che il match tra neuroscienze e recruiting potrà solo crescere, avanzando nella ricerca di punti di contatto e di supporto reciproco da cui entrambi potranno trarre vantaggio.

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