Quante volte, partendo da una tesi iniziale di cui sei particolarmente convinto/a, hai dato spazio solo a fonti che la confermassero senza valutare, anzi addirittura mettendo da parte quelle completamente opposte? Siamo sicuri che avrai agito spesso così, sebbene pensi di essere una persona dotata di spirito critico, che sa essere oggettiva e dare ascolto a tutto. Ma non sei il solo o la sola: quello che abbiamo appena citato è un esempio di bias, il confirmation bias, che altro non è che una scorciatoia che la nostra mente attua per avvalorare ciò in cui crede (quindi un giudizio) anziché metterlo in discussione. Creandosi tutte le condizioni perché ciò avvenga. Il confirmation bias è solo uno dei tanti bias cognitivi, ossia dei modi attraverso cui il nostro cervello, in maniera più o meno consapevole, distorce la realtà. Questi giudizi o pregiudizi hanno ancora più importanza per chi si occupa di Risorse Umane e deve valutare persone e situazioni, spesso decisive. Vediamo di capire meglio cosa sono i bias, qual è il loro impatto sulla selezione del personale e come l’Intelligenza Artificiale ci può venire incontro per evitare certi giudizi o pregiudizi.
Come abbiamo già accennato, i bias sono delle distorsioni della nostra mente. In realtà pare esistano 200 tipologie di bias dovute al fatto che, nonostante ciò che ne pensiamo, non siamo degli essere razionali ma che tendono a razionalizzare. E nel farlo non sempre seguiamo dei processi adatti a capire davvero la realtà e soprattutto a prendere decisioni corrette. Si parla di bias cognitivi perché questi errori sono molto legati ai processi di pensiero e dunque alla nostra conoscenza.
Come sappiamo, la ricerca e selezione del personale è un processo decisionale che porta a scegliere alcune persone anziché altre, a mettere in campo determinate attività, ad agire in un certo modo anziché in un altro.
Fare delle scelte frettolose può quindi rivelarsi controproducente non tanto e non solo per il candidato che si porta a bordo ma per tutto il business.
Sappiamo infatti come la funzione HR sia sempre più strategica, specie in un mondo come quello attuale in cui tante certezze si sono sgretolate, le persone sono cambiate e così anche la modalità di lavorare nonché di concepire il lavoro.
I bias in tutto questo possono giocare un ruolo importante, se non determinante, e inficiare il successo delle varie azioni di recruitment. Senza tralasciare il fatto che ogni selezione ha un costo e prevede un grosso dispendio di tempo nonché di risorse.
Quali sono alcuni dei bias più frequenti? Ce ne sono di diversi tipi: primari e secondari. I primi sono legati più all’età, all’etnia, all’orientamento sessuale, al genere, alla razza, alle abilità fisiche mentre i secondi hanno a che fare con il nostro modo di porci, con il reddito, l’educazione, la collocazione geografica, la famiglia di provenienza e così via. Tutto questo può poi tradursi, ancora più in concreto, in diversi errori di valutazione.
Eccone alcuni:
Quelli appena citati sono solo alcuni degli effetti legati ai bias cognitivi nel mondo del recruitment. E proprio in virtù di questi pregiudizi di cui è “vittima” anche chi si occupa di HR, una modalità di valutazione scevra da considerazioni a priori può essere il blind recruiting e l’utilizzo dei CV anonimi che ci rimandano a un’altra parola, anzi due: Intelligenza Artificiale. Cosa può fare l’Intelligenza Artificiale in tutto questo? Ed è sempre di aiuto?
Le opportunità sono duplici: da un lato l’Intelligenza Artificiale può servire a identificare e ridurre l’effetto dei bias, dall’altro si può usare per migliorare gli stessi sistemi di Intelligenza Artificiale che, come sappiamo, sono sempre una creazione degli esseri umani e per questo fallibili.
Si può per esempio sfruttare il modo in cui vengono raccolti i dati, implementati e utilizzati per evitare che si perpetuino sempre gli stessi giudizi e che portino agli stessi errori.
L’AI infatti può aiutare a ridurre l’interpretazione soggettiva dei dati e questo perché gli algoritmi di apprendimento automatico imparano a considerare solo le variabili che migliorano la propria accuratezza predittiva. Gli algoritmi possono poi aiutare a minimizzare quei bias primari di cui abbiamo parlato, per esempio legati alla razza o alla provenienza.
Le decisioni che vengono prese dall’Intelligenza Artificiale possono essere valutate, esaminate e interrogate mentre quando sono le persone a prenderle, spesso le motivazioni intrinseche non sono visibili. E capire perché si è arrivati a fare una cosa anziché un’altra prevede un grosso lavoro di analisi che non tutti si possono permettere di fare.
Dal punto di vista del recruiting, se si riesce a lavorare sull’ equità di raccolta dati e a migliorare il processo, i vantaggi possono essere molti, fermo restando che l’intelligenza umana deve affiancare quella artificiale perché la seconda non può mai sostituire la prima.
L’AI nel recruitment può dunque minimizzare i pregiudizi inconsci come succede con il già citato blind recruiting così come consentire di valutare l’intera pipeline di candidati e questo perché in grado di processare una grande mole di dati. Il suo impiego può evitare che chi si occupa di HR sospenda il processo di selezione prima di quanto avesse stabilito perché pensa di non riuscire a fare lo screening di tutti i CV ricevuti. Applicare l’Intelligenza Artificiale agli ATS (Applicant Tracking System) permette infatti di automatizzare lo screening dei CV e il processo di selezione. Questo ha un duplice effetto, sia in termini di tempo – i recruiter ne hanno di più da dedicare alla valutazione empatica, ponendo attenzione a quello che è già stato selezionato – che per ridurre i bias cognitivi.
Il tutto è possibile grazie a Inda che permette di analizzare e interpretare i dati ottimizzando il processo di recruiting. E non solo: Inda ha anche la capacità di autoapprendere che porta a limitare gli errori e a specializzarsi secondo le esigenze delle varie organizzazioni.